Tema in materia di diritto penale
“Premessi cenni sulla nozione di condotta ed evento della fattispecie penale, si esamini il rapporto tra gli istituti della progressione criminosa, aberratio delicti e concorso formale di reati”
Svolgimento a cura di Simona Ranisi
L’elemento oggettivo del reato, nella tradizionale concezione tripartita, evoca il concetto di fatto tipico. La condotta e l’evento naturalistico della fattispecie penale costituiscono due tra i più importanti tasselli del fatto tipico.
La condotta posta in essere dal soggetto attivo del reato è elemento rilevante nell’ambito della teoria generale del reato, e ciò in quanto, in ossequio al principio di materialità, essa deve estrinsecarsi necessariamente in un comportamento umano, che si manifesti all’esterno e che non si limiti ad una mera intenzione di commettere un fatto dotato di disvalore penale.
La condotta può distinguersi in attiva, consistente in una azione che si esplica tramite un movimento del corpo, o omissiva, quando si tratti di mancata esecuzione di una azione prescritta dal legislatore ovvero di omesso impedimento di un evento che l’agente aveva l’obbligo giuridico di impedire. Invero, quanto alla condotta attiva, non può negarsi come al centro di ogni fatto penalmente rilevante si rinvenga un’azione umana, descritta con un verbo: da ciò discende che la presenza di una azione costituisce presupposto indefettibile della condotta. In altri termini, per condotta attiva deve intendersi quella che avvia o concorre ad attivare il processo causale che sfocia nell’evento.
A seconda della tecnica redazionale adottata dal legislatore nel caso di specie, si rinvengono nel codice penale e nella legislazione speciale reati a forma libera, quando venga attribuita rilevanza penale a qualsivoglia comportamento esteriore che abbia determinato la causazione di un evento, oppure reati a forma vincolata, nell’ambito dei quali l’azione potrà ritenersi tipica solo se corrispondente al modello di comportamento descritto dalla disposizione normativa. In dottrina si ritiene che l’adozione dell’una o dell’altra tecnica di redazione sia connessa all’importanza del bene giuridico che la norma si propone di tutelare.
Sebbene il concetto di condotta attiva sia facilmente decifrabile, quello di omissione necessita di qualche approfondimento. La nozione di condotta omissiva ha natura normativa, poiché postula come esistente una norma giuridica che imponga un determinato comportamento, che venga disattesa dal reo. In altri termini, affinché si configuri una condotta omissiva non è sufficiente un mero comportamento omissivo, un non facere, bensì è necessario che non venga tenuta una condotta che il soggetto avrebbe il dovere di compiere. È bene precisare che, all’interno della fattispecie che sanziona una condotta omissiva, deve essere fatta menzione dei presupposti sussistendo i quali scatta l’obbligo giuridico di attivarsi per impedire la verificazione dell’evento. Ad avviso della giurisprudenza, e in specie della famosa sentenza Franzese, la condotta omissiva non attiva una condizione negativa dell’evento, ovvero non determina una serie causale impeditiva poiché il processo causale si è già innescato e richiede l’intervento dell’agente per evitare la verificazione dell’evento lesivo.
L’evento in senso naturalistico, inteso come elemento costitutivo del reato, è il risultato dell’azione o dell’omissione e si manifesta come un accadimento del mondo esterno, come una modificazione della realtà che scaturisce causalmente dalla condotta, ma che da essa deve essere tenuta distinta. La manifestazione dell’evento può assumere le più diverse sfaccettature, in quanto può riguardare tanto la realtà fisica, quanto ad esempio quella economico-giuridica o psichica.
L’evento del reato, benché sia di questi un elemento costitutivo, non trova collocazione in tutte la fattispecie incriminatrici, ma unicamente in quelle che individuano reati di evento, e non di mera condotta. Qualora la disposizione faccia menzione di un evento naturalistico quale elemento indefettibile per il perfezionamento della fattispecie, tale previsione incide sulla consumazione del reato stesso e assume rilevanza anche ai fini della determinazione del luogo e del tempo del commesso reato. Si segnala, per completezza, che nell’ipotesi di reato aggravato dall’evento, l’evento naturalistico costituisce circostanza del reato anziché elemento costitutivo.
Rispetto alla condotta, l’evento deve essere individuato come un accadimento separato, sia dal punto di vista temporale che spaziale. In particolare, l’evento deve essere conseguenza immediata e diretta dell’azione, dalla quale logicamente dipende.
Secondo la concezione naturalistica, essendo l’evento la conseguenza naturale della condotta avente penale rilevanza, i due concetti in esame sono tra loro legati dal nesso di causalità, ovvero da un rapporto di causa-effetto che deve sussistere tra la condotta e l’evento affinché il comportamento umano sia penalmente perseguibile.
Così ripercorsi i concetti generali di condotta ed evento, giova a questo punto esaminare il rapporto intercorrente tra gli istituti della progressione criminosa, dell’aberratio delicti e del concorso formale di reati.
La dottrina penalistica suole definire la progressione criminosa come un fenomeno caratterizzato dal susseguirsi di aggressioni di gravità sempre maggiore, poste in essere nei confronti di un medesimo bene giuridico. È opportuno sottolineare sin da principio come la progressione criminosa differisca da punto di vista concettuale dal reato progressivo, poiché nella prima ipotesi si rinviene una pluralità di risoluzioni immediatamente successive, invece che un’unica determinazione. Nell’ambito del reato progressivo si assiste a un fenomeno di c.d. unificazione legale implicita, ovvero un assorbimento del reato meno grave nell’alveo di quello più grave poiché l’offesa al bene giuridico è di gravità crescente. Invero, la realizzazione di lesioni del bene giuridico di gravità sempre maggiore può ricorrere, a titolo esemplificativo, nell’ipotesi di cui all’art. 600 c.p., che assorbe la precedente e meno grave consumazione del reato di sequestro di persona. Dal punto di vista soggettivo, l’evento minore costituisce una sorta di tassello obbligatorio del disegno criminoso del reo, il quale mira alla realizzazione dell’evento più grave come obiettivo dell’intera condotta.
Diversamente, la progressione criminosa individua una escalation criminale, un passaggio contestuale, automatico da un reato di minore gravità ad uno più grave, il quale contiene in sé il primo, per effetto di decisioni successive. L’offesa crescente al medesimo bene presuppone la sussistenza di molteplici condotte, poste in essere continuativamente. A scopo illustrativo, trattasi di progressione criminosa nel caso in cui il soggetto, determinato a ferire la persona offesa, scelga immediatamente dopo aver inferto il primo colpo di ucciderla. Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, la volontà è dapprima rivolta alla realizzazione del reato meno grave; poi muta e si trasforma nel desiderio di realizzare il reato più grave. La prima condotta dotata di disvalore penale progredisce, si realizza una successiva e più grave azione, legata da un nesso causale con la precedente, così determinando una lesione più grave del bene giuridico tutelato dal legislatore. In altri termini, trattasi di più condotte coordinate in un medesimo contesto di riferimento.
Relativamente alla figura in esame, in assenza di una disciplina normativa chiarificatrice, è sorto un acceso dibattito in dottrina, ove ad una tesi – ad oggi prevalente – secondo la quale la progressione criminosa rientra nel concorso apparente di norme si è opposta una diversa interpretazione ad avviso della quale ad essa si applica il concorso di reati. Ad avviso di tale ultima tesi interpretativa, il soggetto che abbia commesso una pluralità di reati, cioè abbia posto in essere una pluralità di condotte penalmente rilevanti, andrebbe sottoposto a tante sanzioni penali quante sono le violazioni commesse. Al contrario, i sostenitori della prima ipotesi argomentativa, che trova certamente maggior consenso, propendono per ritenere che sussista la progressione criminosa unicamente laddove le disposizioni incriminatrici violate si pongano in rapporto di specialità. Inoltre, si segnala come dottrina autorevole abbia rilevato l’inapplicabilità del criterio dell’assorbimento nell’ambito dell’istituto della progressione criminosa, in quanto assume rilevanza unicamente il criterio di specialità.
Il ritenere la progressione criminosa alla stregua di un unico reato appare, dunque, più adeguato sotto il profilo applicativo, soprattutto ai fini del complesso accertamento processuale dell’elemento psicologico.
Da ultimo, nella categoria della progressione criminosa talvolta la dottrina riconduce le ipotesi tacite di antefatto non punibile, considerato strumentale e assorbito dalla fattispecie principale, che offende un bene giuridico più importante (si pensi, ad esempio, alle percosse seguite da lesioni personali).
Il concetto di evento, compiutamente analizzato nella parte introduttiva del presente elaborato, assume significativo rilievo anche con riferimento alla c.d. aberratio delicti. L’ipotesi in esame, disciplinata all’art. 83 c.p., rubricato «Evento diverso da quello voluto dall’agente», ha ad oggetto la situazione in cui, durante il compimento di un fatto di reato, si realizzi un evento – materialmente ed essenzialmente – diverso da quello voluto dall’agente, per un errore nella fase esecutiva. Stante la lettera della legge, la responsabilità attribuibile al soggetto attivo, escluso il dolo, deve intendersi colposa. Non appare sostenibile la diversa tesi, per vero paventata da alcuni interpreti, secondo la quale nel caso di specie la responsabilità abbia natura oggettiva, e sia ricondotta alla responsabilità per colpa ai soli fini della disciplina, e ciò poiché si pone in contrasto con il chiaro dettato normativo che recita in modo inequivocabile “a titolo di colpa”.
La ratio ispiratrice della norma deve rinvenirsi nella necessità di disciplinare con chiarezza i casi ove si verifichi una divergenza sostanziale – sotto il profilo dell’evento naturalistico – tra quando voluto e quanto effettivamente realizzato. L’aberrazione del delitto e la relativa punibilità a titolo di colpa rendono necessario, dal punto di vista processuale, l’accertamento dell’elemento soggettivo e la prevedibilità in concreto dell’evento realizzato.
I rapporti tra gli istituti oggetto di odierna analisi sono stati oggetto di approfondimento giurisprudenziale da parte della Corte di legittimità, la quale ha precisato che l’evento non voluto è attribuibile al reo unicamente a titolo di colpa e qualora sia assolutamente diverso, ovvero abbia natura differente rispetto a quello voluto. Al contrario, per il caso in cui l’evento non voluto costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile, la Cassazione ha ritenuto che l’agente risponda, anche in relazione al secondo evento, a titolo di dolo, benché alternativo o eventuale.
Quanto sino ad ora descritto afferisce al caso di aberratio delicti monolesiva (art. 83, primo comma, c.p.); tuttavia il secondo comma dell’art. 83 c.p. attiene all’aberratio delicti plurioffensiva, ovvero dispone che il soggetto risponda a titolo di dolo per l’evento voluto (e realizzatosi in concreto) e a titolo di colpa per l’evento da lui non voluto. In altri termini, in questa seconda e più complessa ipotesi trovano applicazione le disposizioni previste in tema di concorso di reati (art. 71 e ss. c.p.).
L’interpretazione giurisprudenziale, intervenuta sul secondo comma della disposizione in commento, ha ritenuto configurabile un concorso formale eterogeneo di reati, intercorrente tra il delitto-base e la morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), in quanto la fattispecie delineata da tale ultima norma costituisce una forma di aberratio delicti, ove da un’unica condotta conseguono due eventi differenti, l’uno voluto l’altro no e, di conseguenza, una violazione di diverse fattispecie incriminatrici. Giurisprudenza risalente, ormai consolidata, ha inoltre precisato come il capoverso dell’art. 83 c.p. realizzi un caso di concorso formale improprio di reati, in cui una medesima condotta attiva o omissiva determina una offesa dolosa ed una colposa a beni giuridici appartenenti a soggetti passivi diversificati.
Nel caso di aberratio delicti plurioffensiva il legislatore, al comma secondo, ha prescritto che, qualora il colpevole abbia altresì cagionato l’evento voluto, si applichino le norme sul concorso dei reati.
La particolare natura giuridica dell’istituto ha suscitato diverse perplessità, sia in dottrina che in giurisprudenza, tuttavia si ritiene l’utilizzo del termine “evento” in luogo del più generico “offesa” consenta l’applicazione della norma commentata solo per il caso di reati con evento naturalistico. Nondimeno, i dubbi interpretativi hanno riguardato altresì il criterio di imputazione soggettiva, poiché l’errore ricade sulla fase esecutiva del progetto criminoso, e non sul processo di formazione della volontà dell’agente.
In conclusione, come anticipato in precedenza, allorquando si verifichi in concreto una ipotesi di aberratio delicti plurilesiva opera la disciplina relativa al concorso di reati che, come noto, si realizza nel momento in cui l’agente commetta più violazioni della legge penale e, pertanto, risponda di più reati.
Il concorso di reati assume due differenti configurazioni a seconda che la pluralità di reati sia commessa con condotte diverse (concorso materiale – artt. 71 e ss. c.p.) ovvero con un’unica condotta (concorso formale – art. 81 c.p.). Sotto il profilo applicativo, l’adesione all’una o all’altra forma di concorso riveste conseguenze importanti in punto di quantificazione della pena: il cumulo materiale, applicabile per la prima ipotesi, comporta la sommatoria di tante sanzioni quante sono le infrazioni commesse; il cumulo giuridico, invece, che opera in caso di concorso formale di reati, prevede che venga comminata la pena prevista per il reato più grave, aumentata sino al triplo e contenuta, in ogni caso, entro il cumulo materiale.
Per completezza di trattazione, pare opportuno segnalare come l’istituto del concorso formale trovi collocazione anche nell’ambito del reato aberrante plurilesivo di cui al secondo comma dell’art. 82 c.p., rubricato «Offesa di persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta». Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha statuito che l’aumento di pena previsto per l’aver cagionato due offese a due soggetti diversi, l’una voluta e l’altra no, trova un limite nella previsione, propria del concorso formale, secondo la quale l’aumento per il reato meno grave non può, in ogni caso, essere superiore al quantum di pena previsto per il fatto considerato nella sua autonomia.