Segnalazione – nota a sentenza 08 aprile 2021, n. 13252

Segnalazione – nota a sentenza

 (Cass. V Sez. 08 aprile 2021, n. 13252)

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Cass. V Sez. 08 aprile 2021, n. 13252

LA MASSIMA
“È configurabile il reato di ingiuria, in precedenza disciplinato dall’art. 594 c.p., ora abrogato per effetto del D.Lgs. n. 7/2016, sia qualora l’offesa sia diretta ad una persona presente, anche nel caso un cui siano presenti altre persone, sia per l’ipotesi di offesa rivolta a una persona distanza, purché la comunicazione offensiva avvenga esclusivamente tra autore e destinatario.
Diversamente, la norma incriminatrice di cui all’art. 595 c.p., che punisce il delitto di diffamazione, trova applicazione nelle comunicazioni a distanza quando la dichiarazione è rivolta ad altri oltre all’offeso, ovvero quando l’offesa riguardante un soggetto assente sia comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti”.

IL CASO
L’imputato veniva tratto in giudizio e successivamente condannato in primo grado per il delitto di diffamazione, commesso ai danni di un collega di lavoro e consistente nell’aver spedito a mezzo e-mail all’offeso e ad altre dieci persone un messaggio dal contenuto diffamatorio. In accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile in punto di quantificazione del danno subito, l’importo del danno liquidato è stato aumentato dalla Corte d’Appello da € 500,00 a € 5.000,00.
Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso per cassazione l’imputato, articolando tre diversi motivi di doglianza e concludendo per l’annullamento senza rinvio per non essere il fatto previsto dalla legge come reato. Nella specie, con il primo motivo denunziava violazione di legge per la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 594 c.p.; secondariamente deduceva violazione di legge in punto di diniego dell’esimente – quantomeno putativa – della provocazione (art. 599, secondo comma, c.p.); da ultimo il ricorrente lamentava violazione di legge in merito alla quantificazione del danno liquidato alla parte civile, poiché la motivazione offerta dal giudicante sarebbe scarna e inadeguata e sarebbe stata sopravvalutata la valenza offensiva delle affermazioni contenute nella missiva, di talché la somma liquidata in sentenza sarebbe sproporzionata.

LA QUESTIONE
La sentenza in commento affronta principalmente la questione attinente i criteri distintivi tra le fattispecie di ingiuria e di diffamazione, dedicandosi solo in minima parte ai restanti due motivi di impugnazione.
In particolare, la sentenza oggetto di odierna disamina dapprima ripercorre le due fattispecie incriminatrici, facendo richiamo alla circostanza che, sebbene l’art. 594 c.p. sia stato abrogato per effetto del D.Lgs. n. 7/2016, esso tuttora fornisce un importante parametro di riferimento per la corretta tipizzazione del reato di diffamazione di cui al successivo art. 595 c.p.. In seguito, la disamina è dedicata prima ai concetti di presenza e di distanza che, come si vedrà in seguito, fungono da parametri distintivi tra le norme, e poi si sofferma sulle nuove tecnologie e sull’influenza di queste nell’ambito della qualificazione giuridica delle condotte rilevanti ai fini della contestazione, ivi compreso il concetto di “presenza virtuale”, sempre più attuale in un’epoca in cui gran parte delle comunicazioni avvengono sul web.

LA SOLUZIONE
Il Supremo Consesso ha fornito, nei motivi della sentenza in esame, i criteri distintivi applicabili in concreto ai fini della corretta sussunzione delle condotte nell’alveo della relativa disciplina normativa.
Sin da principio, l’analisi si è focalizzata sul dettato normativo, ovvero sul tenore letterale delle due norme. Da ciò si evince che l’offesa diretta ad una persona presente costituisce ingiuria, così come quella rivolta ad una persona distante, se la comunicazione è limitata tra autore e destinatario. Al contrario, si configura il delitto di diffamazione nell’ipotesi in cui la comunicazione c.d. “a distanza” sia indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, oppure l’offesa riguardante un assente sia comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti). L’affermazione della Corte che la missiva a contenuto diffamatorio diretta alla persona offesa e ad almeno altri due destinatari configuri il reato di diffamazione trova fondamento nella non contestualità del recepimento dell’offesa.
Il criterio dirimente nella distinzione delle fattispecie deve rinvenirsi, ad avviso degli ermellini, nel concetto di «presenza», intesa come presenza fisica nel medesimo contesto spazio-temporale dell’offeso e dei terzi cui è indirizzata la comunicazione.
Il concetto di presenza è stato necessariamente adattato in tempi recenti alla evoluzione tecnologica che ha mutato profondamente le modalità di comunicazione (es. audio e video conferenze, call conference etc.). Pertanto, è stata effettuata dalla Corte di legittimità una ulteriore riflessione sul punto, che ha condotto ad affermare che lo sviluppo di piattaforme digitali per lo svolgimento di incontri tra molteplici soggetti ha mantenuto fermo il criterio discretivo della presenza come discrimen tra le fattispecie. È stata operata una estensione concettuale della “presenza”, ivi comprendendo anche quella di natura virtuale. Si ritiene infatti che ricorra l’ingiuria, ora depenalizzata, nel caso di riunione da remoto alla quale partecipino l’offeso e contestualmente altre persone.
Nel caso oggetto di odierna trattazione, la Cassazione ha ritenuto che – trattandosi di e-mail, ovvero lettera recapitata in formato elettronico, dal contenuto offensivo spedita a soggetti non contestualmente presenti (oltre all’offeso) – sia ravvisabile il delitto di cui all’art. 595 c.p. e che, dunque, tale primo motivo di impugnazione è infondato.
A tal proposito, è stato specificato che l’orientamento enucleato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di corrispondenza tradizionale debba essere mantenuto valido, in ragione del perseguimento del medesimo risultato, anche per l’ipotesi di corrispondenza telematica, in quanto benché la digitazione della missiva avvenga con un’unica azione, la trasmissione di essa si realizza tramite una pluralità di atti operati dal sistema.
In conclusione, giova dare brevemente conto del fatto che la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la doglianza in punto di esimente della provocazione, stante la necessaria sussistenza di un “fatto ingiusto”, non accertato nel caso di specie.
Da ultimo, l’aumento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno è stato ritenuto rispettoso dei parametri e, pertanto, la Corte ha dichiarato manifestamente infondato anche il terzo motivo di gravame.

Segnalazione a cura di Simona Ranisi