Nota a sentenza – Cass. IV Sez. 01 giugno 2021, n. 21521

Segnalazione – nota a sentenza

 (Cass. IV Sez. 01 giugno 2021, n. 21521)

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Cass. IV Sez. 01 giugno 2021, n. 21521
LA MASSIMA
“Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”.

“Il concetto di malattia ai sensi e agli effetti dell’art. 582 cod. pen. non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa”.

“Il medico competente è titolare di una propria sfera di competenza; si tratta di un garante a titolo originario e non derivato. E peraltro, l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale”.

IL CASO
L’imputato – medico competente dell’ASL – veniva tratto in giudizio e successivamente condannato alla pena ritenuta equa in primo grado, sentenza confermata in grado di appello, per il reato di cui all’art. 590 c.p., poiché un infermiere professionale aveva contratto il virus dell’epatite in seguito all’espletamento della propria mansione, ovvero nel corso di un prelievo ematico effettuato su una paziente affetta da HVC e HVB, che improvvisamente muoveva la mano e provocava l’accidentale puntura dell’infermiere con l’ago. Nel corso di tale prelievo era stato accertato che l’infermiere utilizzava un ago sprovvisto di dispositivo di sicurezza e la durata della malattia derivante da tale accadimento veniva calcolata in oltre 40 giorni.
Ad avviso dei giudici di merito, il medico aveva omesso di collaborare con il datore di lavoro della struttura sanitaria pubblica nella valutazione del rischio biologico connesso all’utilizzo di dispositivi medici non sicuri. La condotta illecita attribuita all’imputato consisteva nel non aver messo a disposizione dell’infermiere aghi cannula protetti; di talché la scelta dell’infermiere di utilizzare un dispositivo pericoloso era obbligata dalla circostanza che non vi fossero altri dispositivi in dotazione presso l’ospedale. Altresì, il medico competente non aveva previsto l’adozione di dispositivi di sicurezza all’interno del DVR, alla cui stesura era chiamato a collaborare.
Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso per cassazione l’imputato, articolando cinque diversi motivi di doglianza e concludendo per l’annullamento senza rinvio. Nella specie, con il primo motivo censurava il ragionamento della Corte di appello in ordine al giudizio di sussistenza del nesso causale; secondariamente denunziava che la durata della malattia dell’infermiere non fosse superiore a 40 giorni; con il terzo e quarto motivo di impugnazione si doleva in ordine ai doveri gravanti sul medico competente e, da ultimo il ricorrente lamentava che l’eventuale condotta omissiva del ricorrente fosse da ricondurre esclusivamente ad una assenza di fondi.

LA QUESTIONE
La sentenza in commento affronta la questione attinente la responsabilità del medico competente dell’ASL, il quale con la propria condotta omissiva ha determinato l’evento consistente nella causazione di una malattia di durata superiore a 40 giorni.
In particolare, la sentenza oggetto di odierna disamina dapprima ripercorre la questione relativa al nesso causale intercorrente tra la condotta omissiva e l’evento nell’ambito del reato colposo omissivo improprio, facendo richiamo ai concetti di probabilità statistica e di probabilità logica. In seguito, la disamina è dedicata alla nozione di malattia intesa nelle due accezioni di alterazione anatomica e di limitazione funzionale dell’organismo; infine, si sofferma sui doveri del medico competente, e specificamente sugli oneri di redazione del DVR e di valutazione del rischio.

LA SOLUZIONE
Il Supremo Consesso, nei motivi della sentenza in esame, ha ripercorso i motivi di impugnazione ed ha dichiarato infondato il ricorso, per taluni motivi ai limiti dell’inammissibilità.
Sin da principio, l’analisi si è focalizzata sul nesso causale e sul richiamo alla nota sentenza Sez. Un. Franzese. La Corte ha statuito che il rapporto di causalità nell’ambito del reato contestato deve essere ritenuto sussistente non solo sulla base di un coefficiente di probabilità statistica, bensì alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica. In altri termini, il nesso causale è integrato solo qualora sia accertato che, ipotizzata come realmente tenuta la condotta doverosa omessa, esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento “con elevato grado di credibilità razionale” non si sarebbe verificato, o si sarebbe verificato con modalità differenti.
Quanto invece al concetto di malattia, la Suprema Corte ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale già consolidato, ad avviso del quale la nozione di malattia non contiene in sé qualsiasi alterazione di natura anatomica, ma solo quella dalla quale derivi una alterazione funzionale, un significativo processo patologico, o una compromissione delle funzioni dell’organismo. Nel concetto di malattia grave, è stato altresì specificato, rientra l’incapacità ad attendere alle ordinarie attività quotidiane che perduri per oltre 40 giorni a partire da quello della lesione.
Da ultimo, nel caso oggetto di odierna trattazione, la Cassazione ha ritenuto che il medico competente sia titolare di una sfera di competenza autonoma e che abbia una funzione di garante a titolo originario. Pertanto, su di lui grava l’obbligo di mantenere una condotta attiva, di natura propositiva, in collaborazione con il datore di lavoro.

Segnalazione a cura di Simona Ranisi